Kuiwait Soul di Gabriele Cecconi
a cura di Laura Carnemolla
in collaborazione con Parallelozero
KUWAIT SOUL
Un paese in bilico fra Islam e materialismo
Stretto fra Iraq e Arabia Saudita, il Kuwait è uno dei paesi al tempo stesso più piccoli e ricchi del mondo. Raramente sotto i riflettori, l’emirato diventò protagonista fra il 1990 e il 1991 della Guerra del Golfo, il primo vero conflitto televisivo della storia. Ma perché trent’anni fa una scheggia di deserto priva di qualsiasi attrattiva divenne oggetto di contesa?
La risposta è nella sua storia: da sempre strategico porto naturale, il Kuwait venne sostanzialmente creato un secolo fa dagli inglesi per bloccare all’Iraq lo sbocco al mare. Ai tempi l’economia era basata sul commercio di perle, spezie e incenso, e la popolazione era composta da pescatori e beduini. Gli stessi che decenni prima, fuggendo dalla siccità, si accamparono lungo un corso d’acqua a ridosso di un antico kout, un fortino in terra battuta: nacque così il nome “Kuwait”, e la città sorse esattamente in quel luogo. La ricchezza vera arrivò con il petrolio (i primi pozzi furono scoperti nel 1934) e con la successiva indipendenza dalla Gran Bretagna, avvenuta sessant’anni fa (era il 19 giugno del 1961). Oggi il Kuwait resta un luogo estremo dove d’estate la temperatura si alza a livelli record e dove solo il due per cento del suolo è coltivabile; le raffinerie di petrolio contribuiscono alla pessima qualità dell’aria, con conseguenze nefaste per la salute della popolazione. Che si suddivide fra lavoratori immigrati, perlopiù asiatici ed egiziani (la maggioranza, quasi 2,5 milioni di persone) e i veri e propri cittadini, circa 1,5 milioni. Sono loro che negli ultimi anni, godendo di un’enorme ricchezza economica, hanno sviluppato una visione esasperata del modello capitalistico: una realtà dove un materialismo quasi distopico si mescola alla forte tradizione islamica. Due spinte moralmente conflittuali che generano depressioni e nevrosi: un vuoto interiore, spesso tabù per la società, al quale si risponde a volte con un consumismo estremo.
Gabriele Cecconi è un fotografo documentarista italiano interessato a questioni culturali, politiche e ambientali. Si è avvicinato alla fotografia dopo una laurea in legge e nel 2015 è stato selezionato da Camera Torino e Leica per una masterclass con il fotografo Magnum Alex Webb. Da allora ha realizzato diversi reportage fino al 2018 quando ha iniziato a lavorare su progetti a lungo termine.
Il suo progetto sulle conseguenze ambientali della migrazione dei Rohingya nel sud del Bangladesh ha ricevuto numerosi premi internazionali tra cui l’Yves Rocher Photography Award al Visa pour l’image, POY, Andrei Stenin Grand Prix, PX3 photographer of the year e il LUMIX Sustainability award tra gli altri.
Il suo lavoro è stato esposto a livello internazionale in musei, festival e gallerie tra cui il Museo di Stato Hermitage, la sede delle Nazioni Unite, Photo Vogue Festival, Festival della Fotografia Etica, ed è stato pubblicato da giornali italiani e internazionali tra cui L’Espresso, National Geographic, Internazionale, Newsweek, Courrier international.
Parallelamente svolge attività di ricerca sul rapporto tra cultura, potere e rappresentazione e sugli aspetti spirituali e pedagogici delle arti visive.
Info mostra
FotoLeggendo
dal 24 giugno al 15 luglio 2022
via Giuseppe Libetta,
orari weekend di apertura
Inaugurazione 24 giugno ore 18.30
25-26 giugno : dalle 10 alle 20.30
Dal 27 giugno al 15 luglio 2022
dalle 10 alle 13 e dalle 15.30 alle 19
sabato e domenica chiuso