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E il giardino creò l’uomo

Inaugura lunedì 3 settembre alle ore 17 alla Biblioteca Marconi la mostra collettiva del gruppo di lavoro di Officine Fotografiche Roma “E il giardino creò l’uomo”, coordinato da Liliana Ranalletta e Fiammetta Carloni.

L’idea di questo gruppo di lavoro nasce dalla lettura di un piccolo saggio intitolato The Lost Garden, di Jorn de Précy pubblicato nel 1912 in Inghilterra, ignoto fino a poco tempo fa quando fu riscoperto dal suo curatore, anche lui appassionato e fine conoscitore dei giardini, e pubblicato in italiano di recente da Ponte alle Grazie con il titolo E il giardino creò l’uomo.

A partire dalle riflessioni dell’autore sul rapporto tra uomo e natura, ogni partecipante è stato stimolato a produrre un proprio portfolio intorno al concetto di giardino, inteso come spazio, come luogo di trasformazioni, come luogo dell’animo, dei ricordi e di relazione. Il rapporto fra l’uomo e le piante non è solo un rapporto con lo spazio o con l’uso di tale spazio, è un rapporto più profondo che va la di là del contatto visivo-estetico. È un rapporto che coinvolge tutti i sensi, provocando reazioni.

E così gli elementi del gruppo, parafrasando l’autore, si sono spinti ad aprire il cancello del giardino mossi dal desiderio di entrare in un mondo a parte sepolto dentro ciascuno. Questo ha portato a lavori diversi tra loro, come genere fotografico, come estetica, che a vederli nel loro insieme raccontano la storia di come la relazione tra uomo e natura cresca e si radichi dentro ciascuno di noi.

Il gruppo di lavoro ha tracciato un percorso attraverso la presa di consapevolezza del processo creativo, dei codici costruttivi, degli elementi grafico formali nel tentativo di affermare e riconoscere attraverso le immagini una parte della propria “identità”. C’è chi è ha cercato nel proprio passato, cercando di riconciliarlo con il presente, quasi a voler riportare alla luce ricordi e collocarli in uno spazio di natura diverso, ma forse ancora possibile. C’è chi con parti di natura ha provato a ricostruire volti, come se fosse possibile pensarci, finanche nelle sembianze, fatti di natura.

C’è chi è tornato al proprio giardino d’infanzia, ricercando nei colori e negli oggetti abbandonati le proprie radici. C’è chi ha trovato volti e figure nella materia della corteccia di alberi, quasi un voler ritrovare tracce del nostro mondo. C’è chi osserva come il nostro rapporto con la natura vada conformandosi ai modi propri della globalizzazione, dove tutto ciò che ci circonda può essere usato e poi gettato, senza pensare a ciò che lasciamo dietro di noi. C’è chi ha messo in risalto l’unione di forza e di sostegno che palazzi e alberi, come una solida collaborazione, amicizia, tentativo di non dimenticare le origini. C’è poi chi ha trovato nel riflettersi della natura le emozioni e il sentire del proprio mondo interiore, usandolo come guida per capire anche il mondo intorno. O ancora chi ha messo se stesso in diretto rapporto con i colori e le forme cercando per differenza ciò che accomuna.