Still Birth di Chiara Ernandes
intervengono: Chiara Ernandes e Francesco Rombaldi di Yogurt Edition
Giovedì 21 ottobre alle 19 presentiamo a Officine Fotografiche Roma il libro Still Birth di Chiara Ernandes, edito da Yogurt Edition.
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Chiara Ernandes, in una notte d’estate del 1989, nacque morta.
Lo rimase per cinque lunghi minuti.
Le narrazioni più retoriche e sensazionaliste ricamerebbero sul dolore di una madre. Sull’impotenza febbrile di un padre. Sulla frenesia dei medici, sacerdoti di un culto razionalista, in cerca di un piccolo miracolo laico. E sul sollievo di quel primo respiro. Ma tralascerebbe un soggetto fondamentale, la neonata. Quasi che l’acerba sfera emotiva di quella bambina, la rendesse impermeabile alle variazioni di un mondo ancora sconosciuto.
E che per cinque interminabili minuti l’ha fatta attendere sulla soglia.
Still Birth non è solo un libro, è il risultato di un imprinting visuale, di un limbo che si è impresso nel subconscio di una bambina che ha deciso di attendere nell’altrove, prima di rivendicare il proprio diritto a esistere.
Queste pagine vanno a ricostruire l’ unicum di una donna ormai trentenne che non ricorda quella bambina, ma che sente un’energia terrosa scorrerle dentro.
Quella che gli spagnoli chiamano Duende, e che Garcìa Lorca descriveva così: “Il Duende appartiene a pochi. È l’energia della terra. Si sa solo che brucia il sangue come un tropico di vetri, che estenua, che respinge tutta la dolce geometria appresa, che rompe gli stili, che si appoggia al dolore umano inconsolabile.”
In questa inquietudine Still Birth ha preso vita.
Dalle prime fondamenta narrative abitate da paesaggi immoti, da panorami rocciosi – dal Duende, appunto, che in quei cinque minuti le si è annidato dentro -, Chiara Ernandes ha proseguito il suo incessante vagare.
In quegli scenari sospesi, si è andata a sedimentare un’ altra narrazione, quella dell’Io.
Still Birth è diventato la ricostruzione del proprio passato, partendo da un epicentro, la non-nascita, per arrivare a comprendere sé stessa e il proprio immaginario.
Oggetti familiari, immagini di archivio, un simbolismo allusivo e poetico, i reperti clinici della propria nascita, tutti questi linguaggi contribuiscono a dilatare quei cinque minuti, rendendoli un punctumnarrativo fondamentale, attorno a cui ruota l’ esistenza stessa dell’ autrice.
Un’esistenza scandita anche dalla ricerca incessante della propria immagine.
Chiara Ernandes si sofferma sul suo viso come a volersene riappropriare fin nei minimi dettagli, quasi non le appartenesse. Lo fotografa ossessivamente, comparandolo con quello del padre e della madre, dissolvendolo nella luce. Fino ad arrivare a renderlo una maschera, scolpita nel gesso, trasformandolo così in un simulacro, una scultura imperturbabile allo scorrere del tempo.
Il creare un calco con le proprie fattezze evoca tradizioni ancestrali, crepuscolari. Ma non è una maschera funeraria quella di Chiara Ernandes. È il lascito della farfalla, quando abbandona il proprio bozzolo, ormai trasmutata.
Questo forse è il valore profondo di Still Birth. Prima ancora di una poetica indagine sul proprio passato, della celebrazione del proprio essere al mondo, Still birth è la fine di un viaggio.
È un rito di passaggio in cui l’autrice raccoglie e condensa il suo essere, amplificandolo e riassimilandolo.
E apprestandosi, così, a proseguire il proprio cammino.