Manifesto al Palazzo delle Esposizioni
Dal 26 febbraio al 22 aprile l’architettura della Rotonda del Palazzo delle Esposizioni viene ridisegnata da “Manifesto”, la video installazione articolata in 13 grandi schermi dell’artista tedesco Julian Rosefeldt.
I soci di Officine Fotografiche hanno diritto all’ingresso ridotto presentando la tessera socio dell’anno 2019.
Una nuova, essenziale struttura è stata costruita all’interno dell’edificio in modo che i visitatori e le visitatrici possano fruire una proiezione alla volta, ma anche percepire di tanto in tanto – quando immagini, suoni e parole inaspettatamente e inspiegabilmente si sintonizzano – la potenza di un coro.
L’opera è un omaggio alla pratica novecentesca dei Manifesti, quei testi diffusi come proclami, asseverativi e categorici, con i quali gli artisti distruggevano il passato per difendere – con parole incisive come quelle di una poesia – una nuova visione dell’arte che fosse specchio di un mondo nuovo.
Julian Rosefeldt ha calato i manifesti del Novecento in tredici brevi film, ognuno dei quali dura 10 minuti e 30 secondi ed è ambientato in un diverso contesto. Tutti, a eccezione del prologo della durata di 4 minuti, sono magistralmente interpretati dall’attrice australiana e due volte Premio Oscar, Cate Blanchett.
È lei a recitare –talvolta in sintonia, talvolta in paradossale contrasto rispetto all’ambientazione o alle azioni che compie –dodici diversi copioni ciascuno dedicato a un diverso movimento artistico e composto da un collage di manifesti.
I personaggi, ad eccezione di uno, sono tutti femminili (una scelta, nelle parole di Rosefeldt, nata per contrastare lo spirito maschile dei manifesti la maggior parte dei quali sono scritti da uomini). Le figure femminili, però, sono molto diverse tra loro e la maestria con la quale Cate Blanchett passa dall’una all’altra è prova inconfutabile della bravura e della versatilità dell’attrice.
Il senzatetto – unico personaggio maschile – che vagabonda tra le rovine di un grande impianto industriale sbraita manifesti surrealisti; l’agente di cambio, dall’immensa sala della borsa, lancia proclami futuristi; l’operaia di un inceneritore di rifiuti evoca le visioni estreme dell’avanguardia architettonica; un’amministratrice delegata, prendendo la parola a un party, sostiene le teorie del Vorticismo, del Cavaliere azzurro e dell’Espressionismo astratto; una punk alterata rimugina tra sé di Stridentismo e Creazionismo; la scienziata, approdata nella sala anecoica di un laboratorio hi-tech, partecipa i programmi di suprematisti e costruttivisti; l’oratrice a un funerale discetta sulla morte, sul niente, sul non senso di DADA; la burattinaia che fabbrica il suo alter ego si rivela surrealista e spazialista; una madre, raccolta la famiglia intorno al desco, recita, come una preghiera, le intenzioni trash di un artista pop; una severa coreografa urla al suo corpo di ballo le parole di quanti hanno teorizzato Fluxus, Merz e gli happening; una cronista televisiva e il suo doppio, una finta corrispondente, annuncia Arte concettuale e Minimalismo; una maestra elementare consegna ai suoi giovani allievi i precetti del nuovo cinema.
Oltre che sul lavoro di regia, che implica scrittura scenica e riprese (molte sono quelle dall’alto che ricorrono nell’opera di Rosefeldt), l’opera si fonda su una laboriosa ricerca e selezione dei testi storici dei manifesti del primo e del secondo Novecento. Quelli da cui l’artista ha attinto sono per l’esattezza 50, firmati in gruppo, come quelli dei Pittori futuristi, del John Reed Club di New York,di Fluxus, di Coop Himmelb(l)au e di Dogma 95, altri sono dichiarazioni individuali di artisti visivi, danzatori, filosofi, antropologi, registi, femministe: (in ordine di citazione) Tristan Tzara, Philippe Soupault, Lucio Fontana, Constant Nieuwenhuys, Aleksandr Rodchenko, Guy Debord, Filippo Tommaso Marinetti, Guillaume Apollinaire, Dziga Vertov, Bruno Taut, Antonio Sant’Elia, Robert Venturi, Vasilij Kandinskij e Franz Marc, Barnett Newman, Wyndham Lewis, Manuel Maples Arce, Vicente Huidobro, Naum Gabo e Anton Pevsner, Kazimir Malevich, Olga Rozanova, Francis Picabia, Georges Ribemont-Dessaignes, Paul Éluard, Louis Aragon, Richard Huelsenbeck, André Breton, Claes Oldenburg, Yvonne Rainer, George Maciunas, Mierle Laderman Ukeles, Kurt Schwitters, Sol LeWitt, Elaine Sturtevant, Adrian Piper, Stan Brakhage, Jim Jarmusch, Lars von Trier e Thomas Vinterberg, Werner Herzog, Lebbeus Woods.
Nel prologo, invece, nel cui film vediamo una miccia che brucia, risuonano le parole del Manifesto del Partito Comunistascritto nel 1848 da Karl Marx e Friedrich Engels, scelto, evidentemente, per sottolineare la comune matrice rivoluzionaria di queste dichiarazioni di poetica.
Il rapporto tra la trama del film e il collage di manifesti non è sempre lo stesso, il visitatore è invitato ogni volta a indagarlo e l’opera, nel suo insieme, genera domande più che offrire, come è nelle intenzioni dei singoli manifesti citati, categoriche prese di posizione.
La maggior parte dei manifesti sono scritti da autori “giovani e forti”, “aggressivi”, “energici” e “temerari”, pronti ad abbandonare il passato come una carogna e ignorare il futuro per vivere il presente: come risuonano le loro dichiarazioni a distanza di anni? Come si combinano i loro discorsi spinti oltre i “confini estremi della logica” con la vita di tutti i giorni di un senzacasa, di una casalinga, di una operaia o di una insegnante?
Nonostante questi interrogativi, l’operazione di Julian Rosefeldt non suggerisce alcuna ambiguità. Al contrario è governata da un senso di nitidezza, trasmesso dall’accuratezza della ricerca storica e dall’originalità della regia. La pratica della citazione, inoltre, passa in secondo piano rispetto a quella della riscrittura, suggerendo nuove sviluppi rispetto alla cultura postmoderna e ai modi della postproduzione.
L’artista, sensibile ai temi sociali e politici, ha definito Manifesto una sorta di Call of action, una chiamata all’azione, un atto di fiducia riposto nella possibilità di cambiare il mondo, invertirne le regole.
La mostra al Palazzo delle Esposizioni è accompagnata da un catalogoin lingua inglese edito da Koenig Books con i testi di Burcu Dogramanci, Anna-Catharina con Udo Kittelmann e Reinhard Spieler, con l’intervista di Sarah Tutton e Justin Paton all’artista e con la trascrizione dei collage di manifesti.
Al Palazzo delle Esposizioni con il biglietto di ingresso alla mostra verrà distribuito ai visitatori un libretto con la traduzione in italiano dei collage dei manifesti.
Manifesto è un’opera, scritta, diretta e prodotta da Julian Rosefeldt. È stata commissionata dall’ACMI – Australian Centre for the Moving Image di Melbourne, l’Art Gallery of New South Wales di Sydney, dalla Nationalgalerie – Staatliche Museen zu Berlin e dallo Sprengel Museum di Hanover; co-prodotta da Burger Collection Hong Kong e Ruhrtriennale e realizzata grazie al generoso sostegno di Medienboard Berlin-Brandenburg e in cooperazione con Bayerischer Rundfunk.
L’insieme delle mostre in programma al Palazzo delle Esposizioni nella stagione inverno – primavera 2019 offre alcuni spunti per riflettere sul mezzo della comunicazione verbale, atto primo ed essenziale del vivere in comune.
Nella mostra Testimoni dei Testimoni: Ricordare e raccontare Auschwitz(26 gennaio – 31 marzo 2019) risuona la parola autoritaria dei poteri scellerati e quella dei sopravvissuti e dei testimoni che a quei poteri si oppongono con la forza del ricordo e la scrittura della storia. In Manifestovive la parola asseverativa, ma libera, dell’arte, espressione di un azzardo che il Novecento ha usato per le sue rivoluzioni senza fare morti e feriti. Lungo il percorso, infine, della mostra Il corpo della voce (8 aprile – 30 giugno 2019), l’uso strumentale della voce arretrerà e se ne indagheranno gli sconfinamenti e le sperimentazioni sulle tracce di una originaria phonè.
Julian Rosefeldt. Nota biografica
Nato a Monaco nel 1965, Julian Rosefeldt ha studiato architettura a Monaco e a Barcellona. Dal 2011 è docente di Digital and Time-based Media all’Accademia di Belle Arti di Monaco.
Residente a Berlino, l’artista è rinomato in ambito internazionale per l’opulenza visiva delle sue opere filmiche meticolosamente coreografate, spesso presentate come complesse installazioni multi-schermo. Traendo ispirazione in egual misura dalla storia del cinema, dalla storia dell’arte e dalla cultura pop contemporanea, Rosefeldt utilizza il lessico cinematografico che ci è più familiare per condurci in una dimensione teatrale e surreale, popolata da personaggi affaccendati nel loro tran tran quotidiano che ci seducono con satira e umorismo, rendendo bizzarri mondi che ci dovrebbero essere familiari.
Le opere di Julian Rosefeldt sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private, tra cui il MoMA –Museum of Modern Art di New York, la Burger Collection di Hong Kong, lo Sprengel Museum di Hannover e la Nationalgalerie di Berlino. Attualmente è borsista all’Accademia Tedesca a Roma – Villa Massimo.